Oggi lascio la parola ad un amico che spesso accompagna i miei passi ed ha avuto voglia di mettersi in gioco anche qui……

Scarponi ai piedi e zaino in spalla. Siamo alla ‘Lausetta’ (1020 m) poche centinaia di metri sopra la Borgata Bessè, dove finisce l’asfalto ed inizia la pista forestale. Al mio arrivo si avvicinano al filo del vachè (filo elettrificato) gli Asini di Marco, accettando le mie carezze nonostante ancora una volta avessi dimenticato il pane secco che volevo portare loro.

Mi avvio per la strada con Elisabetta, amica ‘forzata’ dall’assidua frequentazione di questi luoghi ameni.

Questa traccia è ormai una ‘classica’, in particolare dopo l’apertura dei Rifugio invincibili. La pista viene percorsa soltanto dai rari  fuoristrada dei Bergè (pastori), dai trattori per il taglio di legna da ardere, dal pick-up del Rifugio per gli approvvigionamenti e da molti escursionisti. La risalita è lieve e costante e si può camminare, a differenza di un sentiero, fianco a fianco e chiacchierare amabilmente.

All’inizio prati e pascoli ben curati, poi con lunghi traversi e pochi tornanti, ci si addentra in boschi di querce, castagni e betulle, spogli dal fogliame per la stagione autunnale. Si transita ai ‘Bars’ a lato di alcune baite, forse un’antica borgata, ed in breve al ‘Cargiou’, uno chalet sovente  frequentato da residenti del fondovalle. Quindi, un lungo traverso a saliscendi che non finisce mai, alcuni stavolta più ripidi tornanti e quindi arriviamo finalmente al rifugio invincibili (m 1356), una prima metà accessibile a tutti ed anche ai più golosi della cucina di Elisabetta.

Ma questa è solo la prima possibile tappa, la pista prosegue per altri 7 km sino alla vecchia cava di marmo, 20 minuti a piedi oltre l’alpeggio del ‘Caugis’ (m 2000).

Superato il Rifugio e la palestra di arrampicata, il bivio per i siti di arrampicata che prosegue come  impervio sentiero (grado EE) ricongiungendosi a quello per Barma d’Aout, si aprono gli ampi prati e pascoli di ‘Prà La Cumba’ (2° meta) utilizzati solamente in estate. Qui la vista inizia a spaziare sempre di più, verso la pianura da una parte, verso le creste del riemerso Vallone del  Subiasco: La ‘Rubinella’, Lou Poli , la ‘Gran Guglia’, sempre sotto lo sguardo vigile nel versante opposto del maestoso ‘Cornour’. Siamo ad un’altezza di 1600 m ed il relativo clima più rigido favorisce le conifere, di fatto sparute piante di larice, Pino e ginepro che accompagnano  alcuni traversi sino al ‘Fautet’ (m 1700 – 3° meta), un punto panoramico sulla bassa Valle Pellice, alle spalle del ‘Vandalino’ e del ‘Castelus’.

Qui una breve sosta per rifocillarci, la nostra metà è più ambiziosa, è la punta che domina questo versante erboso. Da questo tornante parte un traverso lunghissimo che terminerebbe all’ ‘Alpe Caugis’ ( 4° meta) se non interrotto da uno zig-zag della pista poco sotto una cava abbandonata (m 1800) di ottima pietra locale.

Superato il ‘Caugis’, una lieta sorpresa, in lontananza scorgiamo su un crinale roccioso immerso nei rododendri, il profilo del re di questi luoghi, il camoscio. E tra poco la pista terminerà giungendo alla piccola cava di marmo anch’essa abbandonata.

Si prosegue sul facile sentiero sino al ‘Chiot del Caval’, un colletto roccioso che segna il confine con la Val d’Angrogna e, l’ennesima ricompensa per i nostri sforzi, sulla cresta in una asperità dominante, un altro camoscio ci osserva arrancare nella risalita, scomparendo soltanto quando ritenuta la distanza un potenziale pericolo. Ci attende l’interminabile filo di cresta verso la ‘Punta Vergia’ (m 2330), comunque favoriti da una giornata senza una nuvola; nebbia invece nel fondovalle ed ora, verso il mezzodì, in risalita.

Nella ridiscesa ad un certo punto ci siamo ritrovati in quella stessa nebbia, rada, l’abbiamo superata in breve tempo, osservando  che la stessa a metà pomeriggio ricopriva la parte alta del percorso e la meta da noi raggiunta. Non c’è che dire: Una giornata in montagna, veramente fortunata!

Claudio Grosset